Migrazioni 6 – Parte II

Non sapevamo di preciso cosa stesse succedendo fuori. Sapevamo solo che le cose andavano male. Che fosse la mente collettiva della città a comunicarcelo o qualche altra forma di intuizione o presentimento, avevamo tutti la certezza che Mem fosse squassata da terribili disordini e che pianti e grida echeggiassero in ogni angolo delle centocinquantotto torri. La tranquilla autosufficienza della prigione rendeva ancora più cupa la precognizione del disastro.
Poi, gratuita, insensata, la morte irruppe anche nel nostro limbo, e allora le solide mura d’acciaio che ci custodivano crollarono improvvisamente, costringendoci a fronteggiare una realtà che c’eravamo solo illusi di allontanare, di tener fuori.
Ho già detto che la reclusione non era spiacevole e che molti di noi non rimpiangevano i cubicoli dove abitavano. Ma quando metti in una stessa stanza, per quanto grande, un centinaio di sentinelle e di estrattori, per quanto comodi e ben nutriti, è inevitabile che scocchi qualche scintilla. Da qui un buon numero di litigi e battibecchi, nati quasi sempre da motivi futili o perfino infantili. Spesso, dato che sentinelle ed estrattori avevano dimestichezza con i pugni, litigi e battibecchi diventavano risse.
Niente di strano. Gli estrattori erano abituati a darsele, i non estrattori erano abituati a vedere gli estrattori che se le davano. La cosa strana era che Dugal non partecipasse mai a nessuna rissa. Anche se lo chiamavano continuamente in causa e non facevano altro che stuzzicarlo, lui si limitava a mugugnare nel suo angolo, in attesa che la Clessidra Bianca gli dicesse: puoi andare.
Era soprattutto Kidna che dava addosso a Dugal. Tra loro non c’erano mai stati buoni rapporti: per uno scherzo del caso, da quasi dieci anni i commissari assegnavano lotti confinanti alle loro ditte, e i due, in qualità di caposquadra, passavano il tempo a recriminare su ogni minimo abuso. Dugal era convinto che la ditta di Kidna corrompesse qualcuno del Commissariato Concessioni per risolvere le dispute in proprio favore, mentre Kidna rimproverava alla ditta di Dugal di sconfinare con eccessiva frequenza e addirittura di rubare almeno un barile di essenza non lavorata a ogni raccolta.
Ancora niente di strano. Ogni estrattore odiava gli altri estrattori, colleghi o concorrenti. La prigionia e il rancoroso silenzio di Dugal sembravano acuire però questi contrasti e rendevano Kidna sempre più insofferente dei borbottii del collega.
E non è che Dugal non sentisse le provocazioni. Se non partecipava ai battibecchi, era solo perché la preoccupazione gli toglieva la voglia di litigare. Ma vedeva e sentiva tutto e metteva in conto.
«Non sopporto il suo modo di fare» mi confidò una volta. «Con i secondini, intendo. Non ho niente contro quei ragazzi, fanno il loro lavoro, ma non mi sembra proprio il caso di lusingarli. Sono gentili, ma lisciarli tutto il tempo! E non la smette un istante di parlare! Da quando siamo in questa stanza, ormai saranno tre giorni, mi sembra che quell’imbecille non sia mai rimasto zitto, né meno di notte. Starmene ad ascoltare tutto il giorno la sua voce, senza poter cambiar torre o livello o città o quadrante, mi fa torcere le budella, capisci?»
Ora non vorrei dir male del mio amico, ma credo che il rancore di Dugal fosse più che altro gelosia da prima donna. Durante le prime ore, mentre discuteva con Noemi e con me della nostra situazione e di quello che secondo lui sarebbe successo, era stato al centro dell’attenzione. Tutti lo ascoltavano. Poi Kidna gli aveva rubato la scena con la sua parlantina brillante, e questo Dugal non poteva tollerarlo.
Ora che ci penso, forse la novità di restare in disparte durante le risse nasceva anche da un’altra circostanza: non era solo preoccupato per il futuro, ma anche imbronciato come un bambino geloso.
Mezza giornata, e Kidna era diventato il portavoce dei reclusi. Era lui a trattare con gli impiegati della S.O.R.D.O., a presentare i reclami e le richieste. Ed era anche bravo: in brevissimo tempo aveva contribuito a migliorare le condizioni di tutti. Per esempio aveva suggerito di servire a colazione non solo marmellata di more sintetiche, ma anche di albicocche sintetiche, catturandosi così le simpatie di tutti i denigratori delle more sintetiche; poi aveva pensato di variare l’assortimento di cuscini in modo da accontentare anche chi ne desiderava di più morbidi o più duri o più gonfi o più sottili. Con la gente ci sapeva fare, e si vedeva che organizzare era il suo mestiere. Piaceva a tutti, anche a Noemi e in fondo anche a me. Del resto cercava solo di tenersi occupato.
Lo scontro nacque da un banale battibecco. Solo che stavolta, giunto forse al limite della sopportazione, Dugal non riuscì a restare in disparte. Se non ricordo male, un’impiegata stava raccogliendo le richieste per il menù del quarto o quinto giorno. Dato che anche questo servizio l’aveva ottenuto Kidna, lui ci teneva che collaborassimo tutti e ci mostrassimo cortesi. Dugal ci teneva invece a mostrare il suo disdegno. Sapendo questo, l’impiegata (una ragazza esile esile, con la voce fioca e un po’ stridula e grandi occhi scuri) ebbe un attimo di esitazione, quando si trovò davanti a Dugal. Immaginava che Dugal rifiutasse la scheda sulla quale appuntare le scelte e rivolse un’occhiata a Kidna per domandare: passo oltre? Dugal guardava ostentatamente da un’altra parte e della ragazza e della scheda faceva mostra di non essersi né meno accorto. Quasi certamente si sarebbe limitato a ostentare indifferenza fino a quando l’impiegata si fosse allontanata, se Kidna non l’avesse aggredito:
«Accidenti Dugal! Prendi quella maledetta scheda! Sembri un ragazzino capriccioso!»
Strappò la scheda dalle mani dell’impegata e la gettò ai piedi di Dugal.
Tutti fecero silenzio. Tutti si girarono a fissare la scena. Gli estrattori si scambiarono una serie di occhiate e si tennero pronti. Se c’era da menar le mani, non amavano farsi cogliere di sorpresa.
Dugal non disse niente. Sulle prime sembrò che volesse ignorare anche Kidna. Poi raccolse la scheda, la rigirò tra le mani, soppesandola e valutandone la consistenza, e pigiò perfino un paio di pulsanti, come se stesse davvero scegliendo un menù. Né meno un respiro, e la scheda aveva colpito Kidna sul naso, lanciata di piatto dal basso verso l’alto. Kidna fece un passo indietro, emettendo un urlo di sorpresa (era troppo presto perché potesse provare dolore), e si portò le mani al naso. Poi s’avventò contro Dugal. I due rotolarono avvinghiati sul pavimento, rovesciando l’uno addosso all’altro una cascata di pugni e schiaffoni.
Rimasero lì a darsele per diversi minuti, con gli estrattori tutto attorno che li incitavano. L’impiegata, usa a questi fracassi, per ora non si scomponeva. Si era allontanata di qualche passo, giusto perché quel groviglio di corpi e di improperi non le pestasse i piedi, e aveva azionato il segnale d’allarme che teneva al collo. Cominciò a innervosirsi solo quando vide che la porta restava chiusa e che nessuno veniva a darle una mano. Perché non accorrevano?
Pochi si resero conto di quello che stava per succedere. Io, che di risse ne avevo viste a centinaia, ero tra quei pochi, giusto perché trovavo più interessante osservare il panico che assaliva la ragazza. La vidi fare qualche altro passo verso la porta, come per fuggire, e subito dopo fermarsi, interdetta, osservando con gli occhi spalancati i primi schizzi di sangue che fuoriuscivano dal groviglio Dugal-Kidna. La torma degli estrattori faceva cerchio attorno ai due e vociava e gridava: le facce erano rosse e contorte e gli occhi erano rimpiccioliti dal riso e dall’evidente desiderio di menar le mani.
Fu questa vista a deciderla.
Capii subito. Presi Noemi per mano e la tirai giù, costringendola a sdraiarsi per terra. Questo non ci avrebbe impedito di perdere i sensi, ma almeno non ci saremmo spaccati la testa a causa della caduta. Ci coprimmo le orecchie.
L’agente aveva portato il fischietto cefalico alle labbra. Ora stava indossando gli auricolari.
Pochi secondi dopo, Kidna morì.
Sulle prime non si comprese cosa fosse successo. Eravamo tutti a terra, straziati delle onde cefaliche. A quel suono terribile la realtà si gonfia e si contrae a ritmo sempre più veloce, e così fanno i muscoli del corpo e i centri nervosi e i bulbi oculari. Per fortuna il fischio fu breve e non riuscì a farci perdere completamente i sensi. Ma il mondo svanì lo stesso, intanto che il suono si propagava nel cervello, e ci mise un po’ a riapparire, e quando riapparve era confuso e distorto.
Una volta che la mia vista tornò a fuoco, vidi Dugal che si alzava barcollando. Kidna era immobile sul pavimento, il collo piegato in modo innaturale. L’agente aveva gli occhi spalancati e le mani alla bocca. Il fischietto le ciondolava tra i seni.
Dugal si massaggiava la fronte. Poi il suo sguardo cadde su Kidna, e anche i suoi occhi si spalancarono. Cominciò a boccheggiare.
«È morto» constatò.
Si guardò le mani come se le vedese per la prima volta. Poi le mani si strinsero a pugno. Dugal si rivolse all’impiegata:
«È colpa tua! Sei stata tu ad ammazzarlo!»
L’impiegata sembrava stordita. Forse non aveva indossato bene le cuffie, o forse era solo l’orrore. Aveva gli occhi lucidi, le mani le tremavano. Ma all’accusa di Dugal l’indignazione prevalse sull’orrore. Il suo volto divenne rosso di rabbia: «Ma cosa dici? Guardalo! Gli hai spezzato il collo.»
«È stato quel maledetto fischietto!» ribatté Dugal, rivolgendosi a quelli di noi che incominciavano a riaversi. «È il fischietto che l’ha ucciso.»
«Il fischietto è innocuo» disse l’impiegata. «Sei stato tu. Gli hai spezzato il collo.»
Solo allora si sentirono dei rumori aldilà della porta, stivali rinforzati che battevano il pavimento metallico.
«È colpa sua, non mia» continuava a dire Dugal. «È stato il fischio.» Lo ripeté molte volte, rivolgendosi a ognuno di noi in cerca di sostegno. Ma lo guardavamo tutti sbalorditi. Nessuno era in grado di dire una parola. Alla fine Dugal venne da me, mi prese per il colletto e mi scosse con forza: «Io non c’entro, Crim È stato quel maledetto fischietto! Avevo preso Kidna per il collo, qui in questo punto, ma solo per tenerlo lontano. Mi stava demolendo il fianco con i pugni. Ma poi lei s’è messa a fischiare, e il fischio mi ha teso come una fune e allora il collo… È solo colpa sua, capisci? Non doveva usare il fischietto. Eravamo troppo vicini. E stavamo solo facendo scena. Non si usa il fischietto con tanta leggerezza.»
La porta si aprì. Una decina di agenti ne riempi il vano, brulicando come scarafaggi nella penombra. Si riversarono nella stanza.
Dugal fu preso dal panico:
«Devi aiutarmi, Crim! Non è colpa mia. Lo stavo tenendo per il collo, è vero, ma non intendevo fargli del male. Volevo bloccarlo perché la smettesse di tirarmi pugni nel fianco. Avevo il fegato a pezzi, capisci? Ma poi quell’idiota ha fischiato. Ha fischiato! Il fischio cefalico può provocare spasmi muscolari e a volte perfino le convulsioni. Lei è un funzionario addestrato. Doveva sapere che è pericoloso fischiare in condizioni simili. È stato questo, Crim, uno spasmo. Ho avuto uno spasmo e ho mosso le braccia così e la testa di Kidna si è girata dal verso sbagliato. Non è colpa mia!»
Gli agenti della Guardia Civile stavano spingendo gli altri contro le pareti, intanto che facevano cerchio attorno a Dugal. Quando fu tutto sotto controllo, un agente si fece avanti e studiò la scena per quasi un minuto.
Guardò me.
Guardò Dugal.
Guardò l’agente che aveva fischiato.
Guardò il cadavere di Kidna.
Poi, senza dire una parola, prese il fischietto, s’infilò gli auricolari e mise tutti a dormire.

18 pensieri su “Migrazioni 6 – Parte II

  1. oh mio dio! ma è atroce!
    la convivenza forzata che porta a liti e incomprensioni, a risse e cc ecc…. ok ci sta, è “umano”… ma il fischietto cefalico mi fa pauraaaa…
    post veloce, letto d’un fiato, attendo il seguito.

    e “morte fortuita” come tag m’incuriosisce ancor di più!
    Buona giornata Giovanni!

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    • Eh si stavolta il taglio è stato un po’ asimmetrico e la seconda parte è venuta un po’ corta. Poi la concitazione accelera i tempi. E probabilmente la considerazione di quanto sia facile e del tutto casuale il verificarsi di un evento terribile come la morte di una persona la cosa più spaventosa. Buona giornata anche a te Blanca e grazie davvero

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  2. Mi sembra ottimo il taglio che hai dato al racconto delle liti. Un crescendo fino alla fine tragica di Kidna. La lettura sempre piacevole e fluida aiuta molto comprendere quello che crim sta provando. Il senso claustrofobico della prigione.
    La lettura mi appassiona

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