Migrazioni 7 – Parte I

Dalla finestra di casa mia si vedevano le migrazioni. E anche se a volte penso che sarei stato più felice se non avessi mai visto una medusa in vita mia, condividendo l’artefatta cecità del novantanove per cento degli abitanti di Mem, non riesco a nascondere l’orgoglio di aver conosciuto e ammirato quello che tutti gli altri si affannavano a ignorare. Non ho vissuto i momenti più bui e terribili della guerra: i disordini, le rivolte, la repressione. Non ho assistito in prima persona all’assalto alla Tubovia, alle barricate del livello 288, al terribile suicidio collettivo del livello 42. Ho solo sentito parlare di questi eventi, mentre ero ancora in prigione e quando sono tornato a casa se n’era consumata anche l’eco.
Eppure, sono tra i pochi che possono dare un nome all’origine di tante catastrofi.
E l’unico che ha ancora il coraggio di pronunciarlo, questo nome.
Qualche ora dopo la morte di Kidna e l’intervento della Clessidra Bianca, ripresi i sensi in un’angusta stanzetta. Nella stanza c’erano solo una sedia rosa e un tavolino. L’unica fonte di luce era una lampadina a incandescenza che sbucava dal muro alle mie spalle. La luce era fioca e tremolante e sembrava che la lampadina fosse sul punto di fulminarsi.
Mi rialzai lentamente e mi misi a sedere sulla sedia. Non appena toccai la sedia, lo schienale iniziò a ronzare. Pochi secondi, e la porta si aprì. Nel nastro d’ombra che si vedeva oltre la porta scintillava una debole luce verde. La luce entrò nella stanza ed era l’occhio artificiale di Cremalki, il funzionario che aveva comandato il mio arresto. Dietro di lui incedeva un secondo funzionario, più basso e corpulento, con la testa grossa e rotonda e quasi completamente calva. Un sonoro ronzio proveniva dal braccio sinistro del funzionario, che non era un vero braccio, ma una protesi estensibile in kyanoplastica.
Dugal mi aveva parlato di questo tipo. Come l’aveva chiamato? Morrin? Boril? Ah no… Boris!
I due si piazzarono davanti alla sedia. Cremalki incrociò le braccia e assunse un’aria sarcastica, sorridendo con la mezza faccia che era in grado di sorridere, mentre Boris, più cupo, portò il braccio umano e quello protesico dietro la schiena e si dondolò sulle ginocchia per mantenersi in equilibrio. L’occhio artificiale di Cremalki infilava un ago rovente nelle mie pupille. Ma il tono con il quale mi parlò era cortese, perfino amichevole:
«Ci dispiace per il trattamento che hai subito, Crim. Purtroppo siamo costretti a mettere da parte le buone maniere, quando ci troviamo di fronte a un caso di omicidio.»
«Omicidio? Ma no! Avete frainteso.»
«Vorremmo che ci raccontassi cosa è successo all’estrattore chiamato Kidna, Crim. È stato il tuo amico Dugal a ucciderlo?»
«No. Anzi sì… Credo di sì. Ma non era sua intenzione.»
«Non era sua intenzione? Kidna è morto a causa della frattura delle prime due vertebre cervicali. Collo spezzato, in parole povere. Non si spezza il collo a una persona senza averne l’intenzione. Non è così facile spezzare un collo.»
Mi sentivo la testa gonfia e pesante. Cercavo affannosamente di riordinare le idee per difendere il mio amico e giustificare le sue azioni. Ma mi dolevano ancora le meningi a causa del fischio cefalico, e quella luce verde negli occhi non mi dava tregua.
«È stato il fischietto dell’agente» balbettai. «Dugal ha avuto uno… com’è che si dice? spasmo… uno spasmo. A causa del fischio.»
Cremalki si voltò verso Boris, liberandomi per qualche secondo da quell’assillante luce verde. I due si misero a confabulare. Cominciai a sperare che mi credessero.
«Impossibile» sentenziò Cremalki. «È vero che il fischietto a onde cefaliche può provocare spasmi muscolari e convulsioni. È un effetto collaterale che si presenta spesso. Ma gli spasmi non sono così violenti da spezzare due vertebre, com’è successo a Kidna.»
Il tono di Cremalki era secco ma titubante. Piuttosto che persuaso da questa versione, Cremalki sembrava costretto a difenderla suo malgrado. E poi era stranamente inquieto: non faceva che tendere l’orecchio, come se stesse succedendo qualcosa d’importante da un’altra parte e lui se la stesse perdendo. Forse sognavo, ma sembrava spaventato.
«C’è stato qualche screzio fra Dugal e Kidna, prima di oggi?» domandò, puntandomi di nuovo la luce verde negli occhi.
«Molti. Ma nella prigione ci sono sempre tantissimi screzi. Ogni giorno. E non solo tra Kidna e Dugal.»
«Prigione?»
«Ecco… nella stanza dove siamo confinati.»
«Temporaneamente alloggiati. Nessuno di voi è in prigione. Nessuno è confinato, Crim. Vi abbiamo solo trasferito in un alloggio sicuro finché non avremo chiarito alcune cose.»
«Certo. Chiedo scusa.»
«Insomma, è già successo che Dugal e Kidna litigassero. E sono mai venuti alle mani?»
«No, da quando siamo… temporaneamente alloggiati.»
«E prima?»
«Qualche volta. Sa come sono gli estrattori.»
«Dimmelo tu come sono.»
«Se le danno sempre. Per ogni sciocchezza. Fanno un mestiere duro, per questo sono molto diffidenti e permalosi.»
«Anche Dugal.»
«Sì.»
«Solo che Dugal è un po’ più diffidente e permaloso degli altri.»
«No. Lui è nella media.»
«Nella media? L’estrattore Dugal è stato arrestato otto volte, quest’anno. Per rissa e ubriachezza molesta.»
«Lui forse è solo un po’ più permaloso degli altri. Ma un po’.»
«Questo significa che sarebbe capace di far del male a qualcuno solo per puntiglio?»
«No. Dugal è uno che mena spesso le mani. E a battersi è anche abbastanza bravo. Ma non sarebbe mai capace di uccidere.»
«Eppure Kidna è morto. E Kidna stava litigando con Dugal, quando è morto.»
«È stato il fischietto.»
«Questo lo dice Dugal.»
«Io gli credo.»
«Perché Dugal non mente mai, vero?»
«Qualche volta mente. Ma non sulle cose importanti.»
«Davvero? Quando ti chiede dei soldi, promette che li restituirà?»
«Sì.»
«E poi te li restituisce?»
«Sì.»
«Ora sei tu che menti.»
L’occhio artificiale di Cremalki iniziò a pulsare, confondendomi ancora di più le idee.
«Lo so bene che Dugal non è propriamente un brav’uomo» balbettai. «E che ne combina tante. Ma non sarebbe mai capace di uccidere. È mio amico da tanto tempo e ormai lo conosco bene. È irascibile, impulsivo e stranamente allergico ai soldi, ma non è un assassino.»
Cercai di guardare Cremalki nell’occhio buono, ma la luce pulsante di quello protesico, sempre più acuta e tormentosa, mi faceva perdere la testa.
«Non potete credere che Dugal sia un assassino» cercai di proseguire. «Se lo condannate per omicidio, commettete un gravissimo errore. Rinchiudetelo per un anno, magari, giusto perché un po’ di prigione forse gli fa bene, lo raddrizza, ma poi dovete lasciarlo andare. Non è un pericolo, capite? È solo un estrattore. È il mestiere a renderlo così… spinoso. Anche gli altri estrattori sono spinosi. Ma Dugal ha qualche spina in più, perché è fatto a modo suo. Lui vede un po’ più lontano, mi spiego? E non sopporta i miopi.»
«Ora basta» m’interruppe Boris. La sua voce, stranamente sottile, era gravata da una tale autorità, che non si poteva non ascoltarla. Perfino Cremalki ebbe un sobbalzo, quando risuonò nell’asfittico ambiente, e fece mezzo passo indietro, acquattandosi nell’ombra. Sembrava che la voce di Boris lo schiacciasse.
«È nobile che difenda il tuo amico, Crim» disse Boris. «Ma ti rendi conto che potremmo anche sospettare che sia in combutta con Dugal e che lo protegga per interesse?»
«Ma no. Io cosa c’entro?»
«Niente, lo sappiamo. Tu sei un buon cittadino, Crim. Forse un po’ troppo interessato ad argomenti insoliti e scabrosi, ma leale. Dico bene?»
«Sì… ecco. Non lo so.»
Ero sempre più confuso. L’occhio di Cremalki, ora che lui si era tirato indietro, era perfino più tormentoso di prima: attorcigliava tutte le parole che mi venivano in mente e toglieva loro ogni senso. Però riuscii lo stesso ad accorgermi che anche l’agente Boris appariva inquieto e che tendeva spesso l’orecchio verso l’esterno. Io non sentivo niente, ma solo perché quella maledetta luce verde mi riempiva anche le orecchie.
«Abbiamo ascoltato i discorsi che facevi con Dugal e tua moglie, subito dopo il trasferimento» disse Boris. «E sappiamo cosa pensi di noi aguzzini.»
«Ma no… Io…»
«Silenzio. So anche cosa pensi di quello che sta succedendo e di quello che succederà.»
«Erano solo chiacchiere.»
«Silenzio, ho detto. Abbiamo ascoltato ogni parola. E siamo giunti a una conclusione.»
Boris s’interruppe per mettersi in ascolto. E ora anche a me sembrò di sentire qualcosa. Suoni soffocati, tonfi, alcune note stridule che fendevano come sciabolate l’aria artificiale della città.
«Avete ragione» disse Boris.

8 pensieri su “Migrazioni 7 – Parte I

  1. ah, così Boris mi lascia senza parole!

    tornando indietro di un passo, volevo dire che mi piace il coraggio di Dugal, anche se a causa sua Crim si ritrova a essere vittima di questo interrogatorio non troppo piacevole… Che angoscia!
    E il guardare verso la porta tendendo l’orecchio come perdendosi qualcosa di Cremalki… una frase buttata lì ma che dice tutto!
    Sembra poco ma io l’ho notata: dimostra l’attenzione che poni nel descrivere la situazione, nel costruire i personaggi, è un particolare che rivela il tuo spirito di osservazione. Bravo!

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  2. Mi era sfuggito ma colmo la lacuna. Dunque Crim è torchiato ma le parole finali di Boris mi lasciano incuriosito. Ha tratteggiato bene il disagioi di Crim, l’interrogatorio del duo e il loro modo di vedere e pensare le cose, tipico del poliziotto, che vede ombre ovunque.
    A quando la seconda è ultima parte?

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