Encelado – Capitolo 10

«Il notaio riceve solo su appuntamento» disse Miriam. Andò alla scrivania e gettò il bicchiere nel cestino accanto alla sedia. Aprì l’agenda del notaio. «Volete lasciarmi i vostri nomi?» Siccome non riceveva risposta, batté la penna sul ripiano della scrivania. «Volete lasciarmi i vostri nomi?» ripeté.
Trattenne il fiato. L’uomo alto e magro aveva fatto un passo verso di lei, così che il suo volto era diventato visibile. Sorrideva. E Miriam si ritrasse da quel sorriso con un moto di istinto animale. Quando l’odore dell’uomo la raggiunse, fu costretta ad arricciare il naso, mentre la schiena aderiva alla poltrona e le gambe sospingevano la poltrona all’indietro. L’odore non era particolarmente sgradevole, ma creava un corto circuito nei penetrali del suo sistema nervoso. Un corto circuito che sprizzava immagini indecifrabili e spaventose.
E i denti! Gli incisivi erano corti e acuminati, con le radici nere, in buona parte marce, mentre canini e molari apparivano minacciosi come le zanne di un grosso rettile, tipo un coccodrillo.
Alzando lo sguardo, Miriam si accorse infine che l’uomo indossava un paio di enormi occhiali da aviatore. Le lenti degli occhiali, a causa della luce obliqua, impedivano di vedere gli occhi.
Ritraendosi, Miriam rivolse lo sguardo al gendarme con le orecchie quadrate. In realtà il suo sguardo e tutto il suo interesse erano rivolti all’uniforme, ma questo non impedì alle orecchie quadrate del gendarme di diventare rosse. Osservando la pistola nella fondina, Miriam ebbe un brivido. E se il gendarme fosse venuto per lei? Ma si calmò immediatamente. Era preparata. Aveva predisposto le cose in modo da non concedere loro alcun appiglio.
«Mi chiamo Galenus Malbranque» disse l’uomo coccodrillo.
«Può ripetermi il cognome?» disse Miriam. «Mi spiace, ma temo di non aver sentito bene.»
«Malbranque.»
«Si scrive con la ci o con la kappa?»
«Né ci né kappa. Si scrive Malbranque. Qu-u-e.»
«Mal-bran-que» compitò Miriam. «Qu-u-e. Il notaio potrebbe riceverla martedì alle undici. O mercoledì nel pomeriggio.»
L’uomo coccodrillo fissava Miriam senza smettere di sorridere e senza dire una parola. Miriam si rivolse al gendarme. Si trovò davanti a una faccia da bambino coperta di lentiggini. Incontrando lo sguardo di Miriam, lo sguardo del gendarme sembrò sgretolarsi: la faccia diventò ancora più rossa, prima di voltarsi verso la finestra.
Miriam era certa di averlo già visto da qualche parte.
Tornò a Malbranque. «Mercoledì allora?»
Malbranque allargò il sorriso in un’espressione meno definibile, ma decisamente predace. «Sarei felice di scambiare quattro chiacchiere con il notaio Lopes» disse Malbranque. «Anche se sono in città solo da poche ore, l’ho sentito nominare più volte. E in termini così lusinghieri, che considererei un’occasione sprecata venire a Encelado e non fare la sua conoscenza. Purtroppo non ho il tempo di intrattenere degnamente una simile personalità.»
«Mi scusi?»
Malbranque alzò le mani. «D’accordo: mi ha smascherato. Mentire non è mai un buon affare. E mentire a una bella donna come lei è addirittura un delitto. La bellezza esige verità. Non è vero che non ho tempo. Sono intimidito. A un uomo così colto e brillante come non saprei proprio cosa dire. Vede, amo molto il mio lavoro. Ma è di un lavoro impegnativo, che porta via tantissimo tempo. Così me ne resta pochissimo da dedicare alla lettura, anche solo dei giornali. Farei una pessima figura. Alla mia età non si dovrebbe dar peso aqueste cose, ma in certe occasioni sembra che si torni bambini.»
Miriam scosse il capo: «Scusi, ma non capisco.»
«E come potrebbe capire? Una donna affascinante e intelligente come lei! Quando apre bocca, scommetto che tutti pendono dalle sue labbra. Io invece: mi vede. Non sono bello né intelligente. E la mia conversazione (se ne sarà accorta) è tutt’altro che brillante.»
«Continuo a non capire.»
A questo punto, il sorriso di Malbranque tornò un sorriso. «Non sono qui per vedere il notaio.»
Miriam sgranò gli occhi, mentre il sollievo quasi le toglieva la vista. «Ah ecco!» sospirò. «Lei cercava qualcun altro.» Chiuse l’agenda. «Allora ha sbagliato indirizzo.»
Siccome Malbranque restava in silenzio, Miriam cercò di spiegarsi: «Forse ha fatto confusione con l’indirizzo. L’ufficio del notaio è l’unico di questo palazzo. Se non cerca il notaio Lopes, significa che è all’indirizzo sbagliato, perché nel palazzo non c’è nessun altro. Ma non si preoccupi, non è la prima volta che succede. È un errore frequente. In questa zona ci sono centinaia di uffici, studi legali e agenzie. È facile confondersi. Se mi dice chi sta cercando, forse potrei indicarle come arrivarci.»
Malbranque continuava a fissarla senza dire niente. Miriam cominciò a irritarsi. Aveva l’impressione che Malbranque ridesse di lei, come se non riuscisse ad afferrare qualcosa che invece era evidente.
Poi Malbranque si voltò e andò a sedere sul divano accanto alla porta. Teneva in mano una valigetta di pelle nera. Posò la valigetta sulle ginocchia e si guardò attorno, valutando le pareti decorate con foto di Encelado ritratta in tempi migliori.
«Insomma, mi ha capito?» disse Miriam. Aveva la schiena madida di sudore e la gola secca. Si domandò perché fosse così preoccupata. Malbranque non aveva certo un aspetto rassicurante, ma in definitiva era un cialtrone. Eppure l’uniforme del gendarme non la preoccupava quanto gli occhialoni da aviatore e la dentatura affilata di Malbranque.
Il ragazzo percepì lo sguardo di Miriam anche se guardava fuori dalla finestra. Sembrò spazientirsi. «Smetta di tirarla per le lunghe, Malbranque» disse. «Interroghi la signora Fink e andiamo via.»
Miriam spalancò gli occhi: interroghi?
Malbranque tamburellò con le dita sulla ventiquattrore: «Mi tolga una curiosità, gendarme. È sicuro che il mestiere che ha scelto sia adatto a lei? A me sembra un po’ troppo petulante per fare il poliziotto.» Mandò un sospiro. «Non si preoccupi di come gestisco il mio tempo. Anche se sono un po’ in ritardo, posso concedermi un paio di minuti per ammirare in questa giovane donna una bellezza così pura.»
Miriam fissò Malbranque a bocca aperta. Scherzava? O era solo un altro di quei pervertiti che le rivolgevano complimenti osceni sull’autobus?
«Veniamo al sodo» disse l’uomo coccodrillo. Aprì la ventiquattrore e ci frugò dentro. Estrasse un foglio di carta unto e spiegazzato e attraversò l’anticamera per porgere il foglio a Miriam.
Sul lato sinistro del foglio era incollata la fotografia di un uomo. Era solo una fotocopia in bianco e nero sbiadita e sgranata, ma Miriam lo riconobbe subito.
«Jubal Fink» disse Malbranque. «Suo marito.»
Miriam si accorse solo allora che il suo pollice destro era scosso da un tremito. In realtà non percepiva il tremito, lo vedeva e basta. Questo le parve preoccupante. Lasciò cadere la fotocopia sulla scrivania e nascose la mano sotto il ripiano. Quando la camicetta aderì alla schiena, avvertì con un brivido la carezza del sudore freddo.
Malbranque si avvicinò. Miriam sentì il suo alito riempirle le narici. «Lei è Miriam Cortes, coniugata Fink da tre anni e otto mesi. Corretto?»
Miriam cercò di rintracciare il luccichio di uno sguardo oltre le lenti degli occhiali da aviatore. Ma c’era solo la sua stessa faccia.
«Corretto?»
«Forse abbiamo sbagliato persona» disse il gendarme.
Malbranque continuava a fissarla. Per un momento Miriam pensò di negare. Considerò se Malbranque gendarme in borghese. Non aveva mai sentito di gendarmi senza divisa, ricordava che fossere obbligati a indossarla durante il servizio. Perfino il sovrintendente Hidalgo non la toglieva mai. Ma la presenza del gendarme lasciava pochi dubbi. Forse Monis aveva sporto denuncia. Ma si diede della stupida. Jubal era al lavoro. Perché Monis avrebbe dovuto sporgere denuncia, se Jubal era al lavoro?
Prese un lungo respiro. Gettò uno sguardo all’orologio. Doveva sbarazzarsi di questi due prima che arrivasse il maresciallo Feldergas e il notaio si svegliasse per riceverlo.
«Corretto» disse. «Jubal Fink è mio marito.»
Malbranque le tese la mano: «Piacere di conoscerla, Miriam.» Afferrò la mano di Miriam e le diede un breve, robusto scossone. «Non le dispiace se la chiamo Miriam, vero? Lei può chiamarmi Galenus. Il nome Galenus non mi piace tanto, ma fa lo stesso. Ma sa cosa le dico? Meglio che mi chiami Malbranque. È così che mi chiamano tutti. Ormai sono talmente abituato a sentirmi chiamare Malbranque, che temo che non mi volterei, se qualcuno mi chiamasse Galenus. O meglio ancora: signor Malbranque. Siccome sono più vecchio di lei, è il caso che manteniamo le distanze.» Si voltò verso il gendarme. «Questo giovanotto un po’ timido risponde invece al nome di…» Si interruppe. Sporse il mento e avvicinò le sopracciglia. «Gendarme Moreira, temo di non ricordare il suo primo nome.»
Il gendarme non rispose. Malbranque strinse le spalle. «Lo perdoni» disse a Miriam. «Come dicevo, è un ragazzo un po’ timido. In ogni caso lavora a meno di una lega da qui. Avrà modo di rivederlo. E forse un giorno avrà anche il privilegio di conoscere il suo nome per esteso.»
Miriam gettò un lungo sguardo al gendarme. Era sicura di averlo già incontrato. Anche il nome Moreira non le era nuovo.
«Ora che ci siamo presentati, le andrebbe di spiegarmi cosa vuole?» domandò. «E per quale ragione va in giro con la foto di mio marito.»
Malbranque divenne serio. «Il signor Fink ha chiesto di incontrarmi, ma stamattina non si è presentato all’appuntamento. E ora avrei bisogno di sapere dov’è.»
«Ha chiesto di incontrarla? E perché?»
«Non posso dirlo.»
«Come sarebbe?»
«Non posso. Non sono autorizzato.»
«Ma sono sua moglie.»
«Lo so. Me lo ha appena detto. Pochi minuti fa, si ricorda? Le ho chiesto se era la moglie di Jubal Fink e lei ha risposto sì. Ma non posso dirle niente lo stesso.»
«Quello che riguarda Jubal riguarda anche me.»
«Non in questo caso.»
«Insomma, faccia come crede. Non vuole dirmelo? Tanto meglio. Me lo dirà Jubal. Lui non mi nasconde niente.»
Malbranque scosse la testa. «Scusi, ma ho qualche dubbio. Non posso dirle da quanto tempo di preciso, ma il signor Fink è un cliente della mia compagnia, la Faland, ormai da molti anni. E so per certo che lei non ha mai né meno sentito nominare la Faland, per quanto sia una delle maggiori compagnie della Dodecapoli, che il nome Faland non è mai arrivato né meno per caso alle sue orecchie. Ma non si dispiaccia. Non è raro che i mariti nascondano qualche piccolo, insignificante dettaglio delle proprie vite alle mogli. O viceversa.»
«Mio marito non nasconde niente» insisté Miriam. In realtà l’idea che Jubal le nascondesse qualcosa era ridicola. Dopo tanti anni di raggiri e illusioni, ora leggeva dentro di lui meglio che dentro se stessa.
«In ogni caso, se il signor Fink non mi autorizza, non posso aggiungere altro.»
«Se lei non mi dice perché sta cercando Jubal, allora non vedo come posso aiutarla.»
«Rispondendo alla domanda di prima: dov’è suo marito?»
Miriam ricominciò a sudare. Il suo pollice tremava così tanto, che fu costretta a bloccarlo con l’indice e con il medio. Lo sguardo le cadde su Moreira, e si accorse che il gendarme era spaventato quanto lei.
Questo paradossalmente le diede coraggio. «Perché non se lo cerca da solo?» disse.
Malbranque non apprezzò la sfida. La fronte aggrondata, la bocca piegata all’ingiù, rivolse a Miriam gli occhiali da aviatore, catturandola nella superficie convessa delle lenti. Questo riportò Miriam al sogno della notte precedente. Sentì di nuovo la stretta delle lunghe dita senza unghie che nel sogno la intrappovano sul letto e dovette trattenersi per non urlare.
«Comincia a farsi tardi, Miriam» disse Malbranque. «Mi risponda: dov’è suo marito?»
Seguì un momento di silenzio, durante il quale Miriam scivolò senza accorgersene dalla ribellione all’assenso. Alla fine non le fu più possibile rifiutarsi di rispondere.
«Non lo so» disse.

5 pensieri su “Encelado – Capitolo 10

  1. Altro ottimo capitolo giocato sulle domande dell’uomo coccodrillo e Miriam, dialoghi molto incisivi
    Adesso che farà Malbranque?

    PS qui sembra mancare qualcosa ‘Miriam si rivolse al gendarme con. ‘
    Qui non ho capito ‘senza unghie che la intrappovano sul letto ‘

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