Encelado – Capitolo 24

Malbranque la interruppe con una serie di spruzzi.
Felicia batté le palpebre e corrugò la fronte.
Malbranque deglutì un boccone grosso quanto un pugno. «Non vorrei sembrarle pignolo» disse, «ma la a che ha pronunciato non era per niente nasale, mentre la erre suonava ruvida come un ramarro che corre su una pietraia. Forse a lei sembra un’inezia, ma tengo molto alla corretta pronuncia del mio nome.»
«Mi scusi, signor Malblonque» disse Felicia. «L’ho pronunciato correttamente stavolta?»
«In realtà temo che lei dia davvero troppa importanza alla enne. Una consonante un po’ fastidiosa, non trova? Anzi decisamente fuori posto. La enne andrebbe fusa con la a nasale, capisce? e si dovrebbe sentire appena.»
«Mi scusi ancora, signor Malbloque» disse timidamente Felicia. «Così va meglio?»
«Sì, molto meglio.»
«Ora le dispiace rispondermi, per favore? Sarei curiosa di sentire come si giustifica.»
«Giustificarmi? E di cosa?»
«Di essere andato da Sekidos.»
«E perché dovrei giustificarmi?»
«Ma perché è andato a rendere omaggio quel mostro.»
«Ma non sono andato a rendere omaggio a Sekidos.»
«Ah no?»
«E anche se l’avessi fatto, perché dovrei giustificarmi?»
«Perché Sekidos è il figlio più scellerato di questa terra.»
«E io cosa c’entro?»
«Non doveva andarci.»
«Ma non avevo scelta.»
«No?»
«No. È il mio lavoro. Quando il capo mi ha assegnato la pratica Sekidos, cosa dovevo rispondergli, secondo lei? Non mi va? Il tipo è cattivo, è antipatico, è il figlio più scellerato di quella terra, non piace a nessuno? Il mio capo è molto severo, avrebbe immediatamente scritto una nota di biasimo. Allora, ripeto, perché dovrei giustificarmi?»
Felicia non sapeva cosa rispondere. «Ma non è questo il punto» disse.
«Insomma Felicia, vuol lasciare in pace il signore?» intervenne Miguelarcangel. «Non vede che sta cercando di pranzare? A quanto ho capito, fa un lavoro molto impegnativo, e non mi sembra il caso di infastidirlo durante la pausa» Scosse la testa. «Tutti noi odiamo Sekidos. Ed è giusto, perché Sekidos è un mostro nel vero senso della parola. Ma non possiamo pretendere lo stesso dagli stranieri. Il signor Malbranque è in città da poche ore. Cosa può saperne delle nostre controversie? È andato da Sekidos perché lo richiedeva il suo lavoro, e poi è venuto a mangiare alla Cuspide, perché è il locale più rinomato e frequentato del centro. E non è vero che ci ha imposto la sua presenza: sono io che l’ho invitato al tavolo. Dove avrebbe sbagliato secondo lei? Cosa gli rimprovera?»
Felicia sedette.
«La prego di scusarci, signor Malbranque» disse Miguelarcangel. «Ci giudicherà dei gran maleducati. Ma è solo colpa del clima. Del clima politico, ma anche del clima in senso stretto: aumento della temperatura, siccità, inaridimento progressivo delle oasi. Ormai scoppiano battaglie a ogni angolo di strada. Verbali, ma non per questo senza vittime. Del resto si combatte per il futuro, per la sopravvivenza. E i nemici sono agguerriti e molto ostinati.»
«Se ho capito bene i vostri nemici sarebbero Sekidos… e suo padre» disse Malbranque.
«Sì. E non saprei decidere chi dei due sia il più pericoloso. Sekidos è la mente. Ma nio padre è Encelado. Combattere lui è come combattere l’anima stessa della città.» Il sorriso di Miguelarcangel divenne amaro. «Ma in realtà i peggiori non sono loro. Per quanto ostinati nel perseguire i loro propositi, mio padre e Sekidos sono sempre stati leali, fedeli a se stessi. Lo stesso non si può dire dei gemelli Laufer. Loro sono i peggiori.. Mio padre ha i soldi, il carisma, le idee. Sekidos manda avanti la centrale. Ma i gemelli prendono le decisioni, dirigono, comandano. Nessuno li conosce, perché restano nell’ombra, e così possono fare quello che vogliono. Tanto non sono nessuno. E non è mai colpa loro.»
Malbranque raccolse dal piatto un ultimo grumo di poltiglia rossa. Il gendarme, ora che il piatto di Malbranque era vuoto, si affrettò a coprirlo con quello che teneva in mano. Malbranque affondò distrattamente la forchetta nel melograno ventrerubino e riprese a mangiare. «Non ho mai incontrato un uomo che fosse l’anima di un’intera città» disse a bocca piena. «Se vuole la verità, la prospettiva mi terrorizza. Ma anche in questo caso non ho alcuna possibilità di sottrarmi all’impegno.»
Miguelarcangel perse ancora il sorriso: «Come dice, scusi?»
«Non ho idea di come ci si comporti al cospetto di un uomo del genere, se per caso si deva usare qualche particolare accortezza: inchinarsi, baciare l’anello. Spero di non fare una figuraccia.»
Miguelarcangel sembrava sul punto di arrabbiarsi. «Cosa sarebbe, una specie di scherzo?»
Malbranque trangugiò un enorme boccone di melograno ventrerubino. «Scherzo? No di certo. Poco fa mi ha domandato chi sono i miei clienti, e ora le sto rispondendo. Il secondo cliente che devo incontrare è suo padre. Abbiamo appuntamento alle tre.»
«Signor Malbranque» disse Miguelarcangel in tono bellicoso. «Temo di aver pronunciato malissimo il suo nome, ma per ora soprassediamo. Forse ho capito male. Ha davvero detto che deve incontrare mio padre?»
Malbranque fece sì con la testa, perché aveva la bocca troppo piena per parlare. Dopo l’iniziale incertezza aveva attaccato il melograno ventrerubino con spaventosa voracità. Macinava bocconi color sangue a ritmo frenetico, con il sugo che gli imbrattava le labbra, il mento, la cravatta
Sembrava che stesse divorando una creatura ancora viva o appena morta.
«Confesso che ho fatto un po’ fatica a credere alla storia di Sekidos» disse Miguelarcangel, dopo qualche secondo di riflessione. «Ma questa di mio padre è assurda. Non è possibile che abbia un appuntamento con mio padre? Evangelista Hub non dà appuntamenti, non fa e non riceve telefonate. Non legge né meno la corrispondenza. È in clausura. O meglio è prigioniero. Dei Laufer. Ed è un regime carceriero molto duro.»
Miriam represse l’impulso di sorridere. Era da qualche settimana che Miguelarcangel raccontava questa bugia a chiunque, con la stessa enfasi e le stesse parole. Miriam sospettava che cercasse di riabilitare il nome di suo padre, scaricando la colpa sui gemelli. Eppure ci cascavano tutti. Del resto i ladesi erano così abituati ad amare Evangelista Hub, che si sarebbero appigliati a qualsiasi giustificazione, pur di mantenerlo sul piedistallo.
«Sono circa dieci anni che mio padre vive confinato nel suo palazzo di Jeresario» disse Miguelarcangel. «Da cinque non riceve più nessuno. Né meno suo figlio. I Laufer dicono che è lui a non voler vedere nessuno, ma sono bugie. L’ultima volta che l’ho incontrato, prima che il regime carcerario si indurisse, sono rimasto sconvolto. Sembrava pazzo. Ma non è pazzo: lo drogano Lo drogano per mantenere il controllo della compagnia. E per tener fuori me. Basta, non aggiungo altro. Solo questo: mi spiace, ma non riesco a crederle.»
Malbranque strinse le spalle. «Le mostrerei il contratto, ma in fondo cosa vuole che mi interessi, se mi crede o meno. Lei ha domandato, io ho risposto.»
«Non sospettavo di certo che avesse tanta immaginazione. Un’ultima curiosità, giusto per vedere fin dove arriva la sua abilità di cantastorie. Quale servizio avrebbe richiesto mio padre?»
«Mi spiace, ma non mi occupo delle vendite. Non mi dicono quale servizio abbiano chiesto i clienti. Posso dirle solo che a un certo punto suo padre si è stufato di questo servizio e ha chiesto di vedermi per chiudere il contratto.»
«E quando avrebbe telefonato?»
«E perché avrebbe dovuto farlo?»
«Per fissare l’appuntamento di oggi.»
«Ma sarebbe stato un enorme spreco di tempo. Senza contare il costo. Sa quanto si spende per un’interurbana con le attuali tariffe? La mia macchina non vale così tanto.»
Miguelarcangel restò a fissare Malbranque per alcuni minuti, cercando di capire se si stesse prendendo gioco di lui. Non sapeva se offendersi o meno
«Lei è un uomo singolare, signor Malbranque» disse alla fine, corrugando la fronte.
Malbranque sorrise, intendendo l’osservazione come una lode. Non fu un bel sorriso. La bocca, i denti e il mento erano imbrattati di sugo di ribes e melograno, e Malbranque sembrava più che mai un grosso coccodrillo che alzasse le fauci dalle viscere esposte di una preda.
«Lasciamo stare l’appuntamento» disse Miguelarcangel, scosso dall’aspetto di Malbranque. «Anche perché sono sicuro che non ha alcuna possibilità di incontrare mio padre.»
Malbranque si leccò le labbra. La sua lingua era aguzza e nerastra. «È gentile a preoccuparsi per me. Ma non c’è motivo. Alla Faland non lasciamo niente al caso. Chieda al gendarme Moreira.»
Ricominciò a mangiare. Nello stesso momento una donna si alzò dal tavolo accanto, e il gendarme ne approfittò per accaparrarsi la sedia. Fermò un cameriere, un vecchio che si muoveva in modo stranamente rigido, tirandolo per il nodo del grembiule.
«Vuole qualcos’altro?» disse il cameriere.
«Ho sete» implorò il gendarme.
«Ma ha già bevuto due pinte. Vuole ubriacarsi già a metà giornata?»
«In realtà mi ha portato una sola pinta. E non l’ho né meno bevuta.»
Il cameriere sospirò: «Mai avuto a che fare con un cliente così difficile. Prima critica la nostra cucina, poi la lemeza. E la nostra lemeza è di prima qualità. La compriaml da una famosa distilleria di Mercato Vecchio, la migliore delle Sette Oasi.»
«Ma a me piace la vostra lemeza.»
Il cameriere scosse la testa: «Meno male che oggi il padrone non è venuto. È una persona sensibile e tiene molto al giudizio dei clienti. Se iniziasse girare tra i tavoli, com’è sua abitudine, e la sentisse lamentarsi cosi tanto, scoppierebbe di sicuro a piangere.»
«Ma la lemeza mi piace.»
«Allora perché non ha bevuto le due pinte che le ho portato?»
«Me ne ha portata solo una.»
«E l’ha bevuta?»
«No.»
Il cameriere si allontanò.
Dopo l’ultimo rimbrotto di Miguelarcangel, Felicia aveva preferito restare in silenzio. Ma ora iniziò ad agitarsi. «Il terzo!» disse.
Miguelarcangel alzò un sopracciglio.
«Manca il terzo» disse Felicia.
Miriam trasalì. Ma doveva aspettarselo. Dopotutto era l’unico motivo per il quale Malbranque era venuto alla Cuspide.
Miguelarcangel annuì. Stava per aggiungere qualcosa, ma si interruppe. Guardò Miriam con un mezzo sorriso che si allargava lentamente. Cos’hai a che fare con quest’uomo? diceva il mezzo sorriso. Quale legame può esistere tra una creatura insignificante come te e un uomo come Malbranque?
Felicia fissava Miriam solo perché lo faceva Miguelarcangel. L’improvviso pallore di Miriam doveva sembrarle sospetto, ma ancora non ci arrivava.
Malbranque finì il melograno. Lasciò la forchetta accanto al piatto, macchiando di sugo la tovaglia, bevve l’ultimo sorso di lemeza e si appoggiò allo schienale della sedia. Le lenti degli occhiali riflessero la cappa di fumo che ristagnava a un palmo dal soffitto.
«Chi se lo aspettava?» disse visibilmente soddisfatto. «La verità? I miei amici mi avevano parlato molto male di Encelado. Sarà un viaggio deprimente, mi avevano detto. Mangerai malissimo. Ero rassegnato al peggio. Invece trovo la vostra città deliziosa. Le strade sono lugubri, i palazzi in rovina, perfino i monumenti hanno un’aria depressa, ma è deliziosa lo stesso . E le persone! E la cucina! Non immaginavo che l’arte culinaria potesse raggiungere simili vette. Questo posto eguaglia i migliori ristoranti di Paro. Non quelli che servono carne umana, naturalmente, ma gli altri sicuramente sì. Se non fosse così tardi, ordinerei un altro piatto.» Tirò fuori dal taschino un vecchio orologio d’argento e diede un’occhiata all’ora. «Come immaginavo. L’ora dei bagordi è passata.» Si rivolse a Miguelarcangel e alla presidentessa: «Purtroppo gli impegni mi costringono a rinunciare alla vostra compagnia. Ma mio malgrado, vi assicuro.»
«È stato un vero piacere conoscerla» disse Miguelarcangel, che alla fine aveva deciso di non arrabbiarsi.
«Ma non ci ha detto chi è il terzo» disse Felicia.
Malbranque era in piedi. Raccolse la valigetta e indirizzò un sorriso fascinoso (non fosse per quella dentatura da coccodrillo tutta imbrattata di sugo) alle signore.
«Buon pomeriggio.»
Si allontanò insieme al gendarme. Nello stesso momento il cameriere arrivò al tavolo e lascio una pinta di lemeza.
Miriam osservò Malbranque e il gendarme attraversare la sala, profondamente turbata. Era pronta a subire l’assalto di quel terribile nemico, stava già assaporando il gusto della sconfitta e dell’umiliazione. Invece Malbranque si era tirato indietro, accontentandosi di gettare solo un piccolo seme nell’arido terreno dell’interesse di Miguelarcangel. Un seme che probabilmente sarebbe morto da solo, considerato quanto fosse volubile il giovane Hub.
O forse no?
Arrivati in fondo alla sala, Malbranque e il gendarme si scontrarono con il muro di luce bianca che ostruiva l’ingresso del locale e svanirono come sogni al risveglio.
Non avevano pagato il conto.

43 pensieri su “Encelado – Capitolo 24

  1. Rispondo qui sul capitolo 26, perché il problema dei non commenti si ripete. Una puntata tutta imperniata sui pensieri di Miriam, sul suo ruolo e su quello di Malebranque. Analisi intrigantidi una donna che nasconde un passato e un presente assai pericoloso. Perché Miriam teme Malebranque? Perché Jubal, il marito, è sparito ma forse è morto?
    Tante domande che la puntata non svela e lascia in sospeso, come i lettori che annaspano nel buio.
    Sempre più intrigante la storia

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  2. continuo a commentare qui. Il capitolo 28 è inquietante. Un sogno? Il rimorso? realtà? Può esserew tutto. Hai reso realisticamente l’atmosfera di questo colloquio che a tratti pare assurdo ma non lo è. Jubal vive o è solo un ologramma?
    Alle prossime puntate la soluzione.

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  3. sentivo la mancanza di Encelado. Bella la domanda di Moreira. Chissà come risponderà Malebraque.
    Un eccellente capitolo pieno di azioni e riflessioni.
    Come proseguirà il racconto? E gli altri protagonisti cosa stanno facendo? Aspetto di leggere la prossima puntata

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  4. mi sembra ottimo questo capitolo dove Miria, parla con la sua coscienza rappresentata da Jubal, il marito. Abbandonato Malebranque e i gemelli, adesso la scena si sposta su Miriam, che avrebbe un compito da portare a termine. Quello di sconfiggere Hub.
    La donna che esce nel finale come si incastra nella storia? E’ un diversivo oppure ?

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