Il messaggero – Respiro, Parte I

Ecco che sorge la luna: una tenue luna slavata, che scivola lungo le coltri della notte come un ultimo sogno tra ciglia che si schiudano al risveglio. Ed ecco, alla luce della luna, la sagoma di Ponte Arco, che geme e si contorce a ogni colpo di vento come se non vedesse l’ora di crollare sul fondo del fiume e addormentarsi per sempre. Ed ecco ancora, mentre abbandoniamo il ponte e ci caliamo nella conca di Sendero lungo il tracciato dei binari, ecco lo sguardo degli Storti (non li vediamo ancora gli Storti, ma sappiamo che ci sono, che ci guardano, che si preparano alla visita che stanno per ricevere), e i loro fuochi azzurri che si agitano dentro le finestre. Ed ecco infine, man mano che ci addentriamo nel regno dei morti, la paura, che striscia oscura e silenziosa sulle macerie dell’oltrefiume assieme alle mille altre cose oscure e silenziose che strisciano sulle macerie dell’oltrefiume, frenando il nostro passo e riempiendo la nostra testa di una sola, tormentosa domanda:
«Perché siamo qui?»
In ginocchio accanto a una leva di scambio, Raphael tentava di riannodare il fildiferro che teneva assieme la suola e la tomaia della sua scarpa sinistra.
«Noi siamo sempre qui» disse Franz. «Negli ultimi tre anni abbiamo passato più tempo quaggiù che a Kelidia.»
«Ma è notte! Non eravamo d’accordo di non tornare più a Sendero di notte? E poi stiamo andando al Blocco Dodici. E non esiste niente in tutta la Dodecapoli che sia più pericoloso degli Storti.»
«Su questo hai ragione.»
«Perché allora?»
Franz accennò al messaggero: «A causa sua.»
«Ma non lo detesti? Non lo detesti come lo detesto io?»
«Certo.»
«E allora perché gli siamo corsi dietro, quando è andato via dalla festa? Perché non abbiamo potuto fare a meno di corrergli dietro?»
«Mah.»
«Eppure sapevamo che stava calando il buio.»
«Certo che lo sapevamo.»
«E sapevamo anche che saremmo tornati a casa tardissimo.»
«Troveremo Jana che ci aspetta dietro la porta.»
«Immagina quante ne prenderemo.»
«Preferisco non farlo.»
«E allora ti ripeto: perché siamo di nuovo a Sendero?»
Franz si strinse nelle spalle: «Perché la storia va raccontata fino in fondo.»
Rimessa a posto la scarpa di Raphael, raggiungemmo con una breve corsa il messaggero. Fermo all’ingresso del Blocco Dodici, il messaggero cercava una via praticabile in quel groviglio di rottami e macerie. Sentendo il nostro passo alle spalle, si voltò a guardarci, per la prima volta da quando avevamo lasciato casa Blum. Il suo sguardo frenò la nostra corsa. Al contrario di Serena, che ci aveva subito richiamati, non appena aveva capito quali erano le nostre intenzioni, e solo la contrarietà della signora Blum le aveva impedito di trascinarci a casa per le orecchie, il messaggero non aveva detto una sola parola, non ci aveva rivolto né meno un’occhiata di biasimo, e poi lungo l’intero percorso non aveva fatto altro che tirare dritto, lasciando che le nostre domande gli scivolassero addosso come una pioggia estiva. A un certo punto avevamo cominciato a sospettare che non riuscisse più né meno a percepire la nostra presenza, forse per essere tornato agli inferi dai quali era strisciato fuori pochi mesi prima. Che ora il suo sguardo includesse di nuovo la nostra esistenza ci mise immediatamente sul chi vive. Immaginavamo che ci rimproverasse, che ci desse degli incoscienti, che ci rispedisse a casa a pedate. Invece si limitava a fissarci con quel suo strano, orribile sorriso, e più che in ansia per la nostra salute, sembrava divertito dalla nostra stupidità. Poi, dopo un’alzata di spalle, riprese il cammino.
Non riuscivamo a credere che gli importasse così poco di noi. Dopotutto gli avevamo salvato la vita, no? Lo avevamo curato, accudito, rifocillato per quasi tre mesi, e questo come poteva non aver creato un legame, stabilito una corrispondenza? Ma poi ricordammo il momento che il messaggero aveva lasciato casa Blum, quando si era voltato a guardare Serena ed era parso sul punto di dirle qualcosa, di offrirle una spiegazione, e invece era andato via e basta, senza né meno una parola o un cenno di commiato, ricordammo la disperazione che aveva segnato il volto di Serena, l’orrore che era affiorato nei suoi occhi mentre realizzava che ogni legame con l’uomo che amava era stato troncato per sempre, e allora l’incredulità ci abbandonò definitivamente, e un presagio del disastro che stava per venire attraversò come un volo di corvo il cielo dei nostri pensieri.
Eravamo al centro del Blocco Dodici. I fuochi azzurri erano accesi a quasi tutte le finestre dei caseggiati ancora in piedi, e si vedeva un tenue riflesso bluastro anche in fondo alle crepe che si aprivano ai margini della strada. Anche i lampioni, allineati ordinatamente lungo le mura degli edifici (mentre altrove erano spezzati in due o accasciati sopra lenzuola di calcinacci), diffondevano un tenue barlume, rischiarando le vie del quartiere e rivelandole assurdamente sgombre di macerie e detriti, come se qualcuno (ma chi?) le ripulisse con regolarità. Un’obliqua illusione di vita emanava dall’intera scena, rafforzata da alcuni suoni che ora cominciavano a echeggiare nella penombra lunare e che presto si unirono in un fitto brusio, così simile al brusio di una qualsiasi città ancora in vita, che quasi ci aspettavamo di voltare un angolo e di ritrovarci pigiati dalla calca.
Man mano che ci avvicinavamo alle piazze più interne del quartiere, il brusio divenne sempre più forte. E ora nel suo impasto si iniziava a riconoscere un certo ordine, un ritmo quasi uniforme. Ancora pochi minuti, e il ritmo si compose in una sequenza di sospiri e di singhiozzi, che presto diede forma a una parola: un’unica parola che rimbalzava furiosamente da un lato all’altro del quartiere, da un capo all’altro della conca, pronunciata da mille voci diverse, con mille accenti diversi, a volte con rabbia, altre volte con dolcezza, altre volte con rimpianto e nostalgia.
Una sola parola.
Fratello.
Difficile spiegare cosa ancora ci impedisse di scappare. Forse eravamo semplicemente troppo diversi da quelli che eravamo prima di intraprendere la discesa agli inferi, per scampare al sortilegio degli Storti. Come se la polvere, che ormai rivestiva interamente, fuori e dentro, i nostri corpi, rivestisse anche la nostra mente, difendendola da quanto gli occhi le scagliavano addosso. E così, mentre i piedi continuavano a sospingerci verso l’abisso, mentre il vortice sonoro creato da quell’unica parola, fratello, ripetuta a ritmo e intensità crescenti, ci risucchiava nelle sue interiora, oltre alla più fosca paura che avessimo mai conosciuto, provavamo anche un’atroce ilarità, che ci sottraeva ogni desiderio di preservare noi stessi. Perché non potevamo più farci niente. Per scappare, o anche solo per tornare i Franz e Raphael di una volta, era troppo tardi.
Dopo aver svoltato all’altezza di un’enorme quinta, forse l’avanzo di una stazione ferroviaria, arrivammo a un vasto piazzale delimitato da una siepe di detriti e macerie, dove si faceva più nitida l’illusione che il quartiere fosse ancora popolato. E in effetti non era più un illusione, perché a popolare il piazzale c’era la nebbia, appena sbalzata nel buio dai raggi della luna, che fluttuava attorno a noi in una lenta spirale, come se fosse allo stesso tempo attratta e respinta dalla nostra presenza. E nella nebbia, visibili e invisibili all’inizio, più densi e corposi a ogni battito del nostro cuore, centinaia, anzi migliaia di spettri in forma umana, che ci scrutavano senza espressione da orbite senza occhi. Una folla di uomini e donne di ogni età e condizione, scolpiti nel qedua con tale dovizia di particolari, abiti inclusi, e così simili nonostante tutto agli abitanti della vicina Kelidia, che quasi ci sembrava di sentirne l’odore.
Gli Storti.

8 pensieri su “Il messaggero – Respiro, Parte I

  1. Torni col messaggero con una nuova puntata potente e piena di forza, che dopo un avvio lento e graduale si infiamma sempre di più fino alla riga finale che ci lascia col fiato sospeso. Dunque i due gemelli inseguono o meglio seguoino il Messaggero, che sa che loro sono dietro di lui.
    Sei riuscito a creare un clima splendido che svelerai con la seconda parte di questa puntata.

    O.T. ci sono due minuscoli refusi di battitura ‘sresso’ dove la erre ha preso il posto della e – stesso-
    e poi ‘distastro’ dove la prima ti è di troppo – disastro-

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    • Per gli altri che hai letto, mi spiace ma ho fatto un po’ di confusione con la programmazione. In realtà niente dopo Respiro I andava ancora pubblicato, per quanto sia in grave ritardo. Sono fermo a Respiro Parte I. Cercherò di proseguire regolarmente da mercoledì prossimo. Scusa e grazie per i complimenti

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